Cercare un senso
Quando un uomo riflette sul passato che lo ha preceduto e sul futuro che lo seguirà, può sentirsi smarrito. L’idea della sua assenza, della scomparsa del suo punto di vista potrebbe fargli sembrare il mondo un posto immaginario, forse addirittura inesistente, oppure freddo e distante, non curante delle assenze, ma solo delle presenze.
Esorcizzare questi pensieri e le sgradevoli sensazioni che l’accompagnano è quello che, a prescindere dalle intenzioni, fanno coloro che di sé lasciano traccia, con imprese, opere d’arte, scritti e invenzioni, condivisione di esperienze e saperi con i posteri, inclusa la procreazione.
Ma che accade davvero quando un uomo muore e lascia questo mondo?
Forse la sua anima raggiunge il creatore, forse smette di esistere e basta. La materia di cui siamo composti rimane comunque in circolo nell’universo e se questo abbia a o no un senso non lo sappiamo.
La tentazione di ridurre l’esistenza al piano del visibile o più in generale, del sensibile, c’è sempre, ed è la via più semplice per chi decide di credere solo a quello che vede o, appunto, sente.
Quello che ci potrebbe portare fuori da quella prospettiva sono le credenze religiose, le riflessioni filosofiche, la scoperta di un ordine che governa i fenomeni apparentemente casuali di questo nostro mondo, oppure eventi straordinari o intuizioni.
Il culto dei morti è il nostro modo di tenere concretamente nella nostra vita le persone che non ci sono più, e qualche volta magari è il modo di cercare una comunicazione con quello spazio infinito che è il prima e il dopo di noi. Quasi tutte le culture hanno elaborato rituali, più o meno complessi, dedicati alla morte, mettendo in luce la costante dell’importanza della morte nelle comunità umane.
D’altro canto a questa specificità del comportamento umano si contrappone la generalità del ciclo naturale di nascita, vita, generazione di figli e morte, che ci accomuna a tutte le specie animali e vegetali.
L’autocoscienza o la coscienza di sé sembra essere manifestamente presente oltre che in noi, anche in alcuni animali (scimmie, elefanti, delfini, orche …) o almeno sembra essere presente in alcuni aspetti pratici (test del riconoscimento allo specchio).
Di fatto tutti gli esseri viventi cercano di sopravvivere: per questo si nutrono, si proteggono da situazioni o esseri ostili, cercano di curarsi se hanno dei mali. Questo impulso a vivere, che accomuna uomini e animali, può forse indicare che la vita ha un valore in sé, anche quando la ragione vacilla.
I filosofi Aristotele, Platone, Kant, Hegel, Spinoza, Leibniz o gli scienziati/pensatori come Newton, Einstein hanno tentato di dare una visione e un’interpretazione del mondo fuori da sé, valida per tutti.
I mistici di tutte le religioni tentano la strada di una relazione con il divino o comunque con il trascendente.
Le persone comuni, per lo più occupate dal complesso di relazioni familiari, sociali e civili, delegano solitamente queste riflessioni a chi riflette per mestiere o quantomeno finge di farlo, come intellettuali, pensatori, persone influenti, autorità civili o religiose, personalità del mondo scientifico.
Il tema è complesso più che per la questione in sé, per la portata delle conseguenze che possono scaturire dall’assunzione di punti di vista estremi: se la vita finisce alla morte e nulla a essa sopravvive, cosa realmente dovrebbe spingere gli esseri viventi a cercare di vivere e di perpetuare la vita, quantomeno appena si arrivi a una sofferenza che renda penosa l’esistenza, anche solo momentaneamente. Se la vita continua dopo la morte, cosa ci dovrebbe trattenere dal cercare quel qualcosa, specialmente se le pene e gli affanni di questa vita ci portano infelicità?
Eppure per lo più scegliamo di vivere o anche, al limite, di sopravvivere. In questo senso, evitare di riflettere troppo su questi temi, ci lascia la libertà dell’incoscienza. Ovviamente, come ho detto, le grandi sofferenze mettono tutto in discussione e portano la necessità di prendere coscienza di sé e della propria vita nel senso più profondo per potere andare oltre.
Molti sono stati i tentativi di stabilire un percorso che conduca a una coscienza “superiore“.
Cosa accomuna la danza dei dervisci, la mistica sufi, gli esercizi spirituali dei Gesuiti e le pratiche meditative orientali? Tutte sono vie spirituali che cercano di coltivare una consapevolezza capace di trascendere o trasformare l'influsso immediato delle sensazioni, per arrivare a una forma più profonda di discernimento o unione con il divino. Forse alla fine “… Cercare l’Uno al di sopra del bene e del male”, come suggeriva Battiato, è un tentativo di ricondurre l’esperienza individuale entro un ordine più ampio, che dia coerenza al vivere e al morire.
“Ignàzio di Loyola” - https://www.treccani.it/enciclopedia/ignazio-di-loyola-santo/
“Sufismo” - https://www.treccani.it/enciclopedia/sufismo_(Dizionario-di-Storia)/
“Meditazione trascendentale” - https://www.britannica.com/topic/Transcendental-Meditation
“Mindfullness” - https://www.treccani.it/magazine/atlante/societa/Mindfulness_la_meditazione_buddista_diventa_psicoterapia.html